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Un nostro speciale tifoso: don Massimo

Aggiornamento: 29 ott 2020

Don Massimo Marchetti è parroco di Santa Lucia dall’8 settembre 2019. Ordinato sacerdote nel 2003, 47 anni, originario di Monterotondo. E' tifosissimo della Roma, che segue spesso in tv: “è una seconda fede, confesso il peccato - sorride -. Ho visto il film “Io mi chiamo Francesco Totti” e ho anche la sua maglia firmata. Cerco di non perdere una partita, ma qualcuna salta per impegni parrocchiali”.


Che rapporto ha con Santa Lucia? Che comunità ha trovato?

Una comunità che conoscevo già. Sono stato qui nel 2001 come seminarista, con l’allora parroco don Franco Mezzanotte. All’interno della parrocchia gli operatori pastorali si sono rinnovati, mentre nella cittadinanza nel complesso ho trovato lo stesso tessuto. Chiaramente si sono evolute le problematiche sociali, comuni a tutto l’hinterland romano. Sono presenti disagi che riguardano il mondo giovanile, la disoccupazione, l’immigrazione, mancano luoghi d’aggregazione stabili per giovani, anziani e bimbi. Problematiche sociali cui la parrocchia non sempre riesce a far fronte. Ad ogni modo nella comunità di Santa Lucia c’è fede. Ovviamente si soffre di quel processo di scristianizzazione comune a tutta Europa. La frequenza a messa è del 10-12% rispetto la popolazione, grosso modo la media nazionale. Devo dire però che abbiamo una bella realtà giovanile, si lavora bene con i ragazzi di Santa Lucia.


Abbiamo disegnato il campanile e la statua di Santa Lucia sulle nostre maglie come simboli del territorio. Cosa ne pensa?

A me è sembrato un gesto molto bello. E non perché sono di parte. Sicuramente sono dei simboli efficacemente rappresentativi della realtà di Santa Lucia proprio perché, ripeto, non ci sono luoghi fisici di aggregazione che identifichino questo posto. La chiesa e la statua della Santa sono segni importanti di questo comune, e spero che tutti i cittadini possano trovare in questi simboli un’identificazione, al di là del fatto che siano cristiani. Lo dico ai giovani, dobbiamo fare di più per rappresentare la Santa patrona.


Che cosa intende?

E’ nei miei obiettivi realizzare una festa patronale degna di questo nome, una volta usciti da questa tragedia del Covid. Credo sia importante, come si diceva una volta, radunarsi all’ombra del campanile. Una festa patronale crea legami, relazioni, aggrega e fa comunità. Si potrebbe organizzare in due location, la piazza e la chiesa. Ovviamente senza fare concorrenza alla Sagra delle Rose, ho in mente una collaborazione.


Qual è il suo sport preferito?

Da tifoso, il calcio, ma non gioco. A calcio sono una frana. Il mio sport preferito è il nuoto, l’ho praticato per diversi anni anche a livello agonistico, gareggiavo in stile rana e sono arrivato ai campionati regionali. Ora mi piacerebbe provare il padel, con i ragazzi della parrocchia stiamo vedendo di organizzare.


Cosa vuole dire a tutta la comunità in questo brutto periodo?

Voglio portare un messaggio di speranza. Non facciamoci scoraggiare e schiacciare dalla paura. Il virus c’è e mette ansia, ma come cristiani dobbiamo avere forza e andare avanti. In questo periodo stanno aumentando disoccupazione e disagio economico, in Caritas vediamo crescere il numero di famiglie bisognose di sostegno alimentare. Tante persone stanno rimanendo sole, troviamo il modo di non abbandonarci. Abbiamo i mezzi: un telefonata, un messaggio o una videochiamata. Dobbiamo essere uniti come comunità, anche in questo momento in cui non possiamo vederci, abbracciarci, dobbiamo mantenere vive le relazioni. Non siamo fatti per essere ‘isole’ ma persone in relazione. Non facciamoci scoraggiare, la vita deve continuare nel segno della speranza.


Ci seguirà in questa stagione, Covid permettendo?

Volentieri, compatibilmente con gli impegni parrocchiali. La pallavolo è uno sport che mi piace.




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